Sfruttamento intensivo di terre e uomini, monoculture e ricerca di guadagni sempre più alti a costi sempre più bassi: anche la produzione del cacao sta diventano insostenibile per i coltivatori. Il cacao come il cotone? Il Post riporta un articolo dell’Indipendent
Tra una ventina d’anni il cioccolato potrebbe diventare prezioso come il caviale, secondo un articolo dell’Independent. Coltivare il cacao in Africa non è più così conveniente come una volta e molti agricoltori hanno iniziato ad abbandonare le loro piantagioni. L’Independent racconta quello che sta succedendo nelle piantagioni africane.
Il guadagno minimo che i coltivatori ottengono per la produzione di cacao non è più un incentivo sufficiente per far fronte al lavoro richiesto dalle piantagioni.
«È difficile mantenere la produzione sempre su livelli alti, soprattutto perché le piantagioni devono essere continuamente degerminate», spiega Thomas Dietsch della Earthwatch Organisation «e poi ormai le piantagioni di cacao sono in diretta competizione con quelle di altri prodotti come l’olio di palma, per cui la richiesta è sempre più alta e i guadagni più facili». E mentre la produzione diminuisce, la richiesta di cacao continua ad aumentare. «La richiesta di cioccolato cresce più in fretta della produzione di cacao e ormai non è più sostenibile», dice il direttore della Cocoa Research Association Tony Lass.
Il cacao africano viene coltivato in Ghana, Camerun, Nigeria, Madagascar e Costa D’Avorio, che è di gran lunga il maggiore produttore mondiale. La pianta di cacao è un albero sempreverde alto dai cinque ai dieci metri che soffre se riceve direttamente i raggi del sole e per questo viene coltivata all’ombra di alberi più alti quali palme e banani. La coltivazione richiede elevate spese d’impianto e le piante cominciano a fruttificare solo dal quinto anno, e per circa trent’anni. Ogni pianta produce uno/due kg di semi di cacao, che poi devono essere lavorati tramite fermentazione, essiccamento e macinazione.
«I piccoli produttori ormai guadagnano soltanto ottanta centesimi al giorno», spiega Tony Lass «quando le piante muoiono, non hanno nessun incentivo a sostituirle con nuove piante di cacao e poi aspettare almeno cinque anni prima di vederle fruttificare. Neanche i loro figli sono più interessati a questa attività, la maggior parte cerca di spostarsi nelle città». E con il progressivo abbandono, anche i terreni si stanno inaridendo: «In Ghana e in Costa D’Avorio non ci sono più sostanze nutrienti nei terreni dove prima c’erano le piantagioni di cacao».
In Sudamerica e in Asia per il momento la produzione di cacao non sembra avere problemi, ma se davvero la produzione africana continuerà a diminuire a questa velocità sarà molto probabile che l’offerta di cacao in pochi anni non riuscirà più a soddisfare la domanda. Anche se alcuni prevedono che il mercato troverà comunque un modo per adattarsi all’abbandono dei piccoli coltivatori: «Negli ultimi anni i consumatori hanno già iniziato ad apprezzare la differenza tra il cioccolato di prima qualità e quello più scarso e si renderanno conto che per quello migliore si deve pagare di più» dice Jayne Stanes, della Accademia del Cioccolato Britannica «il fatto che i piccoli coltivatori lascino progressivamente le loro piantagioni finirà per favorire quelle destinate alla produzione di cioccolato di primissima qualità».
Altri invece sostengono che sarebbe necessario intervenire con operazioni di Fair Trade ed evitare che le piccole piantagioni scompaiano del tutto. Un portavoce di Cadbury, uno dei più grossi distributori di cioccolato in Gran Bretagna, riconoscendo le sempre maggiori difficoltà ad accedere al cacao a prezzi bassi, dice che bisognerebbe programmare degli interventi per aiutare i coltivatori locali con le loro piantagioni: «La nostra proposta è pagare un prezzo migliore ai coltivatori e incoraggiare le nuove generazioni a restare all’interno dell’industria».
In Costa D’Avorio la Nestlé sta per lanciare un progetto che prevede di piantare dieci milioni di piante di cacao nei prossimi dieci anni. Ma secondo quanto scrive l’Independent si tratterebbe di un intervento che sostituirebbe soltanto un quarto delle piante che sono già andate perse e che in più non favorirebbe minimamente i coltivatori locali.