Il 2009 è stato dichiarato dalla Fao l’anno internazionale delle fibre naturali: cotone, capana, lino, seta, lana, juta e tutte le altre fibre tratte da piante, animali o minerali. I tessuti realizzati con questi materiali hanno molti vantaggi per chi li indossa, per chi li produce e per la terra, sostiene la Fao in tutte le manifestazioni e i materiali informativi. Questo è vero, aggiungiamo noi, se le fibre naturali vengono anche prodotte in modo sostenibile sia eticamente che ecologicamente, possibilmente rispettando le tradizioni locali delle zone di origine. Diversamente, anche le fibre naturali, basta pensare al cotone, portano inquinamento (il cotone non bio necessita di molta acqua e fertilizzanti chimici) e sfruttamento. Anche noi cerchiamo, con la collezione Trame di Storie, di aumentare l’utilizzo delle fibre naturali, sperimentando ogni anno diversi sistemi di filatura e di decorazione per valorizzare la tradizione e renderla fonte di sviluppo economico-sociale. Nella settima collezione, la Primavera Estate 2009, abbiamo utilizzato seta, canapa, lino e vari tipi di tessuto di cotone, tra cui il malkha e il khadi, stoffe tradizionali che hanno segnato la storia e l’identità dell’India. Il Khadi è, infatti, il sistema di filatura e tessitura a mano del cotone e della seta che il Mahatma Gandhi promosse come strumento di riscatto sociale per le comunità rurali. Tutti, secondo lui, avrebbero dovuto tessere il khadi, attività fisica e spirituale insieme: l’arcolaio a ruota era infatti il simbolo della non violenza. Gandhi aveva scritto nel 1921: ” I tessuti che importiamo dall’Occidente hanno letteralmente ucciso milioni di nostri fratelli e sorelle…” Per questo aveva promosso e sostenuto il boicottaggio delle merci britanniche, specie i tessili. ” Un paese rimane in povertà, materiale e spirituale, se non sviluppa il suo artigianato e le sue industrie e vive una vita da parassita importando manufatti dall’estero”. Il khadi era il tessuto simbolo di questa idea di riscossa, ma del vero khadi, cioè ottenuto da fibre di cotone o di lana filate a mano e tessute su telai a mano, soltanto pochi, in qualche paesino dell’immensa India rurale, avevano conservato la sapienza. Così il Mahatma faticò molto a trovare chi gli insegnasse l’arte della filatura e della tessitura. Lo aiutarono alcune donne dell’Ashram di Ahmedabad e grazie a loro, nel 1919, Gandhi potè indossare un dhoti di puro khadi. Subito invitò tutti gli indiani a seguirlo, a vestire di puro khadi, che nella sua visione era la materializzazione di un ideale, un ideale fatto di stoffa, un ideale di libertà dal giogo dell’imperialismo, di umiltà spirituale, di purezza morale, di eguaglianza sociale, di abolizione dell’intoccabilità di casta. In rispetto a questi principi, i capi realizzati in Khadi come tuniche e spolverini, hanno linee semplici e pulite, non sono tinti e mantengono il colore naturale del cotone, per esprimere, anche nei modelli, purezza e sobrietà.
Articoli recenti
- Papa Paper: la carta artigianale che vuole salvare il mondo (o almeno un pezzettino)
- Tisane Ayurvethica: la nuova produzione
- Un’azienda indiana verso l’impatto zero
- Pietra saponaria: l’arte della decorazione di precisione
- I noodles di riso: come usarli
- L’arte per l’Iran
- Pelle, ecopelle e (vera) sostenibilità
- La creatività per costruire futuro