4 Ottobre 2022: oggi facciamo 20 anni!
Non siamo mai stati troppo avvezzi alle autocelebrazioni. E poi, sinceramente, abbiamo avuto un settembre pieno da scoppiare. Dunque abbiamo pensato che il modo migliore di festeggiare fosse lasciare spazio ai nostri amici iraniani, che stanno vivendo un momento difficile, anche se ricco di speranze, e che proprio ieri ci hanno inviato questo messaggio.
Due settimane fa Masha Amini, una ragazza curda di 22 anni, è arrivata a Tehran con il fratello
per visitare i genitori. Appena arrivata la “hijab Police” l’ha arrestata con l’accusa di non
indossare l’hijab (il velo) nel modo appropriato. Durante l’arresto il fratello pregava la polizia di
non arrestarla tenendo conto che si sentivano confusi e quasi stranieri a Teharan. Ma la polizia
ha portato via Masha con la forza. Secondo altre donne arrestate e detenute nelle stesse ore,
Masha è stata picchiata dai poliziotti già nel furgone, mentre la portavano al “centro di
rieducazione”. Qualche ora dopo la polizia ha informato la famiglia che Masha era stata portata
all’ospedale a causa di un attacco cardiaco. Di li a breve è arrivata la notizia della sua morte,
che ha scosso la famiglia e tutto l’Iran.
Per oltre quarant’anni le donne iraniane hanno vissuto sottoposte a una sistematica forma di
oppressione e discriminazione. Vengono obbligate ad indossare l’hijab, il velo islamico,
secondo le volontà del governo. Nel caso di violazione dell’obbligo possono essere arrestate e
subire violenze ed umiliazioni. Rispetto all’educazione superiore, l’impiego e i viaggi all’estero le
donne debbono ottenere il permesso ufficiale dei loro padri o mariti. Allo stesso modo non
hanno diritti relativamente al divorzio e all’affidamento dei figli e non esistono leggi efficaci per
punire chi commette un “delitto d’onore” nei loro confronti, mariti o altri familiari che siano. Le
donne non hanno gli stessi diritti nei tribunali, la loro testimonianza vale la metà di quella di un
uomo. Conseguenza di questa norma è che, in pratica, non esiste una via legale di perseguire lo
stupro domestico, la violenza domestica e addirittura le molestie sessuali sul posto di lavoro.
Quello nato in questi giorni è il più grande movimento popolare nella storia dell’Iran. I manifestanti stanno riempiendo le piazze e le strade in tutto l’Iran, dalle cittadine alle metropoli.
La maggior parte dei manifestanti sono ventenni e teen agers che scendono in strada urlando slogan a favore della libertà e dell’uguaglianza. Gli slogan sono in favore delle donne, ma richiamano anche alla solidarietà tra i diversi gruppi etnici e chiedono libertà in generale. Nessun partito nè politico si è messo a capo del movimento. I giovani si organizzano spontaneamente attraverso i social media, le chat dei game on line e i circoli di amici. Si confrontano su slogan, tattiche, e condividono le loro esperienze nell’affrontare la repressione.
Ad ogni occasione di incontro accendono dei falò cantano e danzano mano nella mano attorno
al fuoco e le ragazze bruciano i propri veli. Dovete sapere che la maggioranza degli iraniani,
inclusi religiosi e donne che vogliono indossare l’hijab, sono comunque contro le discriminazioni sistematiche delle donne e l’obbligo di indossare l’hijab.
Si è anche manifestata quella solidarietà degli uomini nello schierarsi a favore dei diritti delle
donne, cosa che queste ultime attendevano da lungo tempo. Sia negli slogan che attraverso i
video è possibile vedere come, finalmente, molti uomini abbiano realizzato che la libertà di
tutti sia impossibile senza ottenere la libertà per le donne.
Contemporaneamente all’inizio della protesta è iniziata anche la repressione generalizzata e violenta di questo movimento nazionale. Non si contano le immagini che documentano di
spietati pestaggi dei manifestanti, di arresti violenti e dell’uso di armi contro i civili. Le statistiche ufficiali parlano di oltre 70 morti, ma è possibile che il numero sia superiore. Molte delle persone uccise sono teen agers con meno di vent’anni colpiti a morte da proiettili, in strada.
Allo stesso tempo il governo ha immediatamente iniziato a disattivare i social media, rallentare
la velocità della rete internet, per poi chiuderla totalmente. Questa tattica, a noi familiare, ha
due obiettivi: da un lato rendere più difficile organizzare le proteste e il coordinamento tra i
manifestanti, e dall’altro prevenire la diffusione delle immagini della violenza della polizia.
Malgrado ciò, attraverso un movimento unico di unità nel paese e di solidarietà internazionale,
l’hashtag #Masha_Amini (o #mashaamini) è divenuto estremamente popolare sui social
network ed è riuscito ad arrivare tra le notizie principali dei media aminstream. In tutti i paesi le
attiviste e gli attivisti per i diritti umani, le organizzazioni che difendono i diritti delle donne, i
partiti politici e milioni di semplici cittadini hanno dichiarato la loro solidarietà alle donne
iraniane e a questo movimento popolare. Chiudere la rete internet stavolta non potrà ridurre
al silenzio le proteste.
E’ comunque vero che le restrizioni della rete internet stiano avendo pesanti conseguenze sulle
vite di molti iraniani. Si stima che circa il 10% della forza lavoro iraniana dipenda da internet e
dai social media per vendere i propri prodotti o servizi. Il termine “social media” in Iran è un
modo per dire “Instagram”, dato che da oltre un decennio questo è l’unico social media che
non sia stato bloccato, nel Paese. Ci sono oltre 30 milioni di Iraniani (su una popolazione di oltre
80 milioni) attivi su Instagram. Tra loro ci sono parecchie persone appartenenti a gruppi sociali
vulnerabili, come ad esempio donne che vivono in comunità marginali e che dipendono da
Instagram per vendere i loro prodotti artigianali o alimenti fatti in casa (torte, dolci,
marmellata, condimenti, ecc.).
Mentre scriviamo questo resoconto in Iran Whatsapp e Instagram sono bloccati. Potrebbe non
essere una decisione temporanea in quanto alcuni funzionari stanno chiedendo una chiusura
permanente dei social media. Sia gli attivisti che gli economisti hanno già messo in guardia
rispetto ai possibili effetti della chiusura di Instagram senza offrire delle alternative praticabili.
La decisione avrebbe l’effetto di uno schiaffo ai settori più vulnerabili dell’economia della
società iraniana, che hanno speso enormi risorse di tempo ed energia per promuovere le loro
pagine e renderle redditizie.
Mentre le manifestazioni proseguono tutte le sere e i disordini si ripetono ogni notte, sta
crescendo la richiesta di organizzare uno sciopero generale. A causa della censura e delle
difficoltà nelle comunicazioni tra gli attivisti, non è facile prevedere quanto sia realmente
possibile organizzare uno sciopero generale. Ad ogni modo una cosa è certa, le leggi e le prassi
riguardanti le modalità di vestire delle donne non potranno continuare e dovranno cambiare.
Molte delle manifestanti e dei manifestanti non vedono se stessi come cittadini di prima classe
del loro paese, ma piuttosto come ostaggi di un regime brutale. Il richiamo a scendere in piazza
è iniziato con l’obiettivo di opporsi alla Hijab Police, ma è immediatamente evoluto nella
richiesta per un cambiamento di regime, o meglio di una sua rivoluzione. Sia nelle strade che
sui social media* i manifestanti chiedono alla comunità internazionale di ascoltare le loro voci
e di aiutarli riconoscendo questo movimento, così da persuadere il regime a fermare le
violenze e l’uso di armi da guerra contro I civili e ad ascoltare finalmente il popolo iraniano. I
manifestanti anno anche bisogno di aiuto tecnico per eludere la censura ed il filtro delle
comunicazioni.
Durante I funeral di Zina (il nome con cui la madre di Masha era solita chiamarla), qualcuno ha
scritto a mo’ di epitaffio la frase “Non morirai, il tuo nome sarà un simbolo”.
Un manifestante ha scritto su Twitter “Masha Amini si abbrevia in MA, temine che in farsi
significa NOI!”
Il suo nome è il simbolo della nostra libertà.
28 settembre 2022
*può apparire una contraddizione il fatto che si parli di bloco dei social media e, al contempo, di comunicazioni che continuano attraverso i social media. Esistono metodi per aggirare il controllo, ad esempio I VPN, che però non tutti sono in grado di utilizzare e che dunque rendono la comunicazione più lenta e difficoltosa.